Se Montezemolo riesce a fare piu (e meglio!) di De Amicis

Così come il muratore De Amicis riuscì nella impresa di narrare un intero anno scolastico senza menzionare Natale e le altre feste (e tale romanzo venne diffuso di proposito nelle scuole statali) di recente mi è capitato di ascoltare un programma politico, non breve o stringato ma ampio,  senza nessuna menzione non dico a Dio –che è il nostro Creatore- ma neppure ai valori dello spirito genericamente intesi. Non ci credete? Ed allora leggetevi tutta stà roba qui e poi mi dite che ne pensate:


Dopo le straordinarie suggestioni di Edoardo Nesi, che ci ha ricordato le mille ragioni per cui dobbiamo continuare ad avere speranza nel futuro del nostro paese, potremmo spendere giorni, mesi a discutere sul come e perché ci siamo trovati a questo punto.

Sarebbe una discussione interessante, ma non è per questo che siamo qui. Siamo qui perché siamo convinti che nessuna maledizione condanni l’Italia al declino e alla rassegnazione.

Siamo qui perché vogliamo che il paese reale, i cittadini e le migliaia di eccellenze che costituiscono il nerbo della nostra nazione abbandonino le tribune e riportino l’Italia a giocare in attacco, e a vincere.

Siamo qui perché ciascuno di noi, nel corso di questi vent’anni perduti, ha, almeno una volta, provato vergogna per essere italiano e perché nessuno di noi vuole, mai più, ripeto, mai più provare questo sentimento.

Mai più accetteremo di vedere l’Italia derisa e disonorata.

Mai più proveremo l’umiliazione di essere commissariati o di essere “l’anello debole” in Europa e nel Mondo.

E mai più, quindi, firmeremo deleghe in bianco alla classe politica.

Ma soprattutto mai più consentiremo che la paura del futuro ci paralizzi.

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C’è fame di Italia nel mondo. Della nostra Italia. Dell’Italia che produce e lavora, dell’Italia che ha sempre accetto le sfide, dell’Italia che con il suo patrimonio monumentale e paesaggistico e la sua cultura ha costruito la modernità. Dell’Italia fatta di milioni di uomini e donne che mandano avanti il paese, nonostante tutto, ogni giorno.

Siamo qui perché vogliamo che inizi finalmente un capitolo nuovo della nostra vita civile e democratica che metta al centro questa Italia, l’Italia che rema.

Dobbiamo aprire la strada verso la terza Repubblica.

Lavoro, Impresa, Cultura, Giovani e Donne.

Di questo parleremo oggi. Questi sono i pilastri su cui si deve ricostruire l’Italia.

Sostituiamo la retorica dei ristoranti pieni con quella del numero dei brevetti registrati, delle donne e dei giovani occupati, delle imprese costituite, dei turisti e degli studenti stranieri che hanno visitato il nostro paese, dei libri scritti e letti, dei film prodotti e dei monumenti salvati dal degrado.

La premessa perché tutto ciò si realizzi è che si riequilibri il rapporto tra Stato e cittadini. Da qui discendono la maggior parte delle anomalie italiane.

Dobbiamo riportare l’azione dello Stato in un alveo più ristretto perché possa tornare a essere forte e autorevole.

Non è più accettabile avere difficoltà a trovare i soldi per restaurare la fontana di Pompei e Trevi, o piangere dopo l’ennesimo disastro idrogeologico, e contemporaneamente spendere alcuni miliardi di euro per sanare i buchi di quelle amministrazioni locali che hanno costituito centinaia di società inutili e dannose, operato migliaia di assunzioni clientelari e persino finanziato partiti defunti con il nostro denaro.

Anche per questo lo Stato deve fare la sua parte. Ritirandosi dalle tantissime aree di attività, generando intermediazione politica e corruzione, mentre sempre più spesso non è in grado di assicurare risorse per le sue funzioni basilari.

Il patrimonio immobiliare, le partecipazioni nelle aziende pubbliche non strategiche, le municipalizzate trasformate in poltronifici a beneficio dei politici pensionati.

Conferiamo questi beni a un fondo che scambi le proprie quote con titoli del debito pubblico, riducendolo così gradualmente ma con determinazione.

L’unica patrimoniale che dobbiamo introdurre è quella sullo Stato.

Questa non solo è una misura giusta nei confronti degli italiani ai quali si chiedono rinunce senza fine, ma servirebbe anche ad aumentare la concorrenza e a liberare energie per la crescita.

Gli spazi per l’iniziativa privata sono ancora troppo esigui e mal regolamentati. Per aver praticato, e non solo predicato, le liberalizzazioni so bene quante insidie possono nascondersi in settori che oggi sono solo apparentemente aperti alla concorrenza.

Dai trasporti all’energia e dalle professioni ai servizi di pubblica utilità, si forniscono in regime di monopolio prestazioni scadenti e costose. Avere paura della concorrenza vuol dire chiudere la porta allo sviluppo, al merito e all’occupazione.

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Il fisco è dove più chiaramente emerge la patologia del rapporto tra Stato e cittadini.

Una patologia che è rappresentata da un lato dall’evasione fiscale e dall’altro dagli sprechi della spesa pubblica improduttiva. Ogni contribuente finisce per domandarsi: dove vanno a finire i miei soldi?

Per questo riteniamo indispensabile che insieme al rafforzamento degli strumenti a disposizione dell’Agenzia delle entrate venga reso permanente e più incisivo il processo di spending review, attraverso l’istituzione di un’Agenzia delle uscite il cui primo compito sia quello di pretendere ed ottenere trasparenza sulle spese della pubblica amministrazione.

Senza tagli alla spesa pubblica improduttiva non troveremo le risorse per ripartire.

E su questo voglio essere chiaro perché in passato destra e sinistra hanno spesso affrontato i termini di questa questione solo dalla prospettiva che più faceva comodo per ragioni elettorali.

Dobbiamo affermare il principio che chi occulta il proprio reddito ed evade è un ladro esattamente come chi sperpera i soldi pubblici.

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La Terza Repubblica dovrà vedere la fine di queste due grandi inciviltà italiane, avendo chiaro però che c’è un punto fermo: per nessuna ragione la pressione fiscale potrà andare oltre i valori odierni, che già sono intollerabili.

Le tasse sono in generale a livelli insostenibili, ma quelle sul lavoro e sulla produzione sono davvero fuori da qualsiasi parametro di civiltà. Nessun altro paese ha così ostinatamente cercato di allontanare l’attività privata da ciò che crea sviluppo e occupazione. È stato un suicidio incomprensibile.

Come possiamo pensare di poter crescere quando la tassazione complessiva sulle imprese è superiore al 60% e il cuneo fiscale e contributivo è al 43%?

Si taglino tutti gli incentivi a fronte di un abbattimento dell’IRAP. Non ci interessa se stiamo parlando di un euro, un miliardo o dieci miliardi. Si agisca subito. Il rischio deindustrializzazione del paese è più che concreto.

Occorre sostituire alla retorica sulla politica industriale, che spesso genera mostri come la vicenda Alcoa, una seria politica dei fattori che condizionano la produzione e il lavoro.

Costo dell’energia, burocrazia, contratti che premino la produttività, minore tassazione sul lavoro e sulle imprese, un welfare moderno orientato alla crescita sono questi gli obiettivi strutturali da perseguire.

Artigiani, piccole imprese, professionisti sono l’ossatura produttiva del paese, che rischiamo di distruggere. Più delle grandi aziende queste realtà vengono colpite dalla burocrazia.

La riforma profonda della pubblica amministrazione, sino ad oggi paralizzata non solo dalla politica, ma dalla lobby degli alti burocrati statali, è la priorità per far ripartire l’economia.

Per questo abbiamo proposto che in occasione dell’introduzione di nuove procedure burocratiche, lo Stato debba valutarne il costo e attribuire alle imprese colpite un credito d’imposta pari al 50% del costo stimato della nuova procedura.

Dopo le mille promesse mancate dobbiamo pretendere poi che l’evasione diventi per davvero il serbatoio da cui attingere per ridurre la pressione fiscale sui contribuenti leali. Anche in questo caso la chiave è la trasparenza nell’azione dello Stato.

È necessario istituire un meccanismo automatico di destinazione dei proventi della lotta all’evasione all’abbattimento delle aliquote fiscali. Ciò servirebbe anche a creare un interesse concreto da parte dei cittadini che pagano le tasse a esigere ricevute e a pretendere un corretto comportamento da parte dei propri fornitori privati.

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Giovani e donne hanno sopportato più di tutti, questi decenni di bassa crescita. I dati sono drammatici, in particolare al Sud.

Pensiamo che la questione del Mezzogiorno sia oggi fondamentalmente legata, da un lato alla lotta alla criminalità organizzata, ma dall’altro alla distanza che lo separa dal nord Italia e dall’Europa in termini di partecipazione dei giovani e delle donne alla vita, civile ed economica.

Le donne sono diventate l’argine alle inefficienze del nostro sistema di welfare, così come i giovani ne sono diventati gli esclusi. È vero ad Aosta come ad Enna. Ma ad Aosta è ancora l’eccezione mentre ad Enna è la regola, e non da oggi.

Entrambi questi fenomeni rappresentano il segnale di una profonda regressione, non solo materiale, per tutti gli italiani.

Ripensare il sistema di welfare in chiave di crescita e solidarietà, con il contributo indispensabile delle reti di sussidiarietà. Ne parlerà Irene Tinagli nel suo intervento.

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Tutte queste cose sono più che fattibili. Abbandoniamo l’idea che debito, spesa pubblica, evasione, tasse, crescita siano problemi in qualche modo irrisolvibili.

Mali italici spesso attribuiti allo scarso senso civico degli italiani. È una retorica che respingiamo e che serve solo a nascondere i fallimenti di una classe dirigente, politica e amministrativa.

Il problema non è raddrizzare gli italiani ma far funzionare l’Italia. Dove lo Stato funziona, e non considera i cittadini sudditi, i cittadini rispettano lo Stato e le sue istituzioni.

Per questo la prossima legislatura dovrà necessariamente essere costituente: dal dimezzamento del numero dei parlamentari, al ripensamento delle autonomie locali; dalla legge elettorale ad una stringente regolamentazione dei conflitti di interesse, che sono, non solo in Italia, il vero rischio di degenerazione di ogni società liberale.

Tutta l’architettura del paese andrà ripensata con il coinvolgimento dei cittadini. Quando sento i candidati leader degli attuali partiti raccontare la favola secondo cui riusciranno in questo compito da soli, con l’appoggio esclusivo della loro parte politica, capisco perché la loro credibilità è ai minimi storici.

Vent’anni di questa retorica, a destra e a sinistra, non hanno prodotto le scelte che servono al paese. Coalizioni che sbandierano la loro identità solo durante la campagna elettorale per dividersi il giorno dopo, hanno determinato la paralisi e il declino.

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Questo movimento civico, il nostro movimento, il vostro movimento, deve porsi l’obiettivo di essere centrale rispetto ai problemi del paese, e non cercare definizioni sulla base di categorie ideologiche che non esistono più.

Già vediamo il riformarsi di alleanze che contengono tutto e il contrario di tutto ma che soprattutto avranno l’effetto di ridare peso e potere di condizionamento alle componenti più ideologiche e populistiche.

L’abbiamo già sperimentato in questi vent’anni. I danni sono stati gravi, ma nel contesto della crisi economica odierna, sarebbero irreparabili.

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Ci sono dati di fatto che gli italiani conoscono benissimo.
Se non ci sarà una novità sostanziale nell’offerta politica, il risultato delle elezioni potrebbe portare alla guida del paese uno schieramento eterogeneo e confuso.

Una riedizione di Governi i cui Ministri scendevano in piazza contro i provvedimenti varati dal loro Esecutivo.

Una compagine governativa ostaggio di populismi che rifiutano gli impegni internazionali sottoscritti dal nostro paese.

Questi impegni ci hanno posto al riparo dalla tempesta. Rinnegarli implicherebbe, con tutta probabilità, l’avvitamento in una spirale discendente.

Si innescherebbe un percorso fatto di spread più alti e di difficoltà a collocare il debito, ma soprattutto di violenti sussulti nell’organismo di un paese già prostrato da decenni di bassa crescita e da anni di drammatica crisi economica.

A ciò si risponderebbe con un aumento della pressione fiscale che strangolerebbe ogni timido segnale di ripresa. Questi sono fatti con cui tutti ci dobbiamo confrontare oggi, non il giorno dopo le elezioni politiche.

Noi crediamo che non esista alcuna seria alternativa alla creazione un ampio fronte di forze civiche, economiche, associative e politiche per la ricostruzione della nazione.

Un fronte che dovrà saper opporsi a due spinte ugualmente deleterie, e sottrarre così gli italiani ad una alternativa nefasta.

Di qua, la politica all’opera ormai da vent’anni che vuole replicare, a destra e a sinistra, proposte vecchie e fallimentari. Di là, chi ritiene che tutto vada distrutto prima di poter cominciare a costruire.

Abbiamo il dovere civico di dare un’altra possibilità ai tantissimi cittadini italiani, che per sfinimento, per aver assistito a ogni tipo di abuso della cosa pubblica, per aver visto depauperare il patrimonio straordinario, umano prima che culturale e produttivo, della nostra nazione, pensano che non ci sia più spazio per un cambiamento costruttivo.

A questi cittadini, i cui sentimenti comprendo benissimo, voglio dire che non c’è più niente da distruggere in questo paese.

Dalla seconda repubblica ereditiamo macerie.

Il futuro di ognuno di noi è legato alle sorti di una comunità che va ben oltre la condivisione di uno spazio fisico. Dobbiamo convincerci che la caduta delle istituzioni è la caduta del vivere civile e che nessuna maledizione ci condanna se sapremo in primo luogo innamorarci di nuovo dell’Italia, di quello che siamo stati nella nostra vicenda storica e di quello che possiamo essere nel nostro immediato futuro.

Questo percorso deve iniziare qui, oggi.

Non c’è più tempo. Il momento delle tattiche e dei personalismi è passato. L’impegno che dobbiamo assumerci, abbandonando le tribune e senza chiedere in cambio posizioni o ricompense, è un impegno per la salvezza dell’Italia.

Nessuno può fare questo in vece nostra. Rinchiudersi nel proprio particulare, limitarsi alla critica, anche costruttiva, fare bene la propria professione, non può più bastare.

Dobbiamo riportare al voto e all’impegno politico milioni di italiani, ricostituendo il patrimonio di speranza e fiducia della nazione.

Oggi iniziamo a costruire un movimento civico, liberale, popolare e riformista che sposti il baricentro della vita pubblica italiana dai populismi distruttivi e dalle false promesse, alla forza e alla ragionevolezza di chi vuole cambiare, radicalmente e profondamente il paese, sapendo però, per averlo direttamente sperimentato in tanti ambiti diversi, quanto pragmatismo e umiltà ci vuole per vincere la sfida del cambiamento.

Solo così potremo voltare pagina e posare le fondamenta della Terza Repubblica.

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All’indomani delle prossime elezioni politiche dovremo contribuire in maniera determinante alla nascita di un Governo costituente di ricostruzione nazionale.

Un Esecutivo di ampio respiro, credibile e competente, che garantisca il mantenimento degli impegni internazionali, rilanci l’economia e inizi il percorso fondativo della Terza Repubblica.

Un governo che sia in primo luogo sorretto dal movimento civico che vogliamo costituire.

Dobbiamo obbligare, passatemi il termine, i principali partiti che saranno presenti nel prossimo Parlamento a confrontarsi con la realtà della situazione italiana, chiudendo definitivamente una stagione inutile e conflittuale: trasformando l’idea dominante nella seconda repubblica dell’”anti”, nel lavoro costruttivo del “post”.

Nei diversi schieramenti politici sono tante le persone che condividono questo ragionamento. Occorre dargli sicurezza perché vengano allo scoperto.

Abbiamo visto i segnali di questo percorso nell’esperienza del Governo Monti, in particolare nel ruolo determinante giocato dal Presidente del Consiglio nel restituire credibilità e forza all’Italia nella sua dimensione europea ed internazionale.

Il 16 novembre di un anno fa Mario Monti giurava nelle mani del Presidente della Repubblica, a cui vogliamo rivolgere anche da qui un saluto e un ringraziamento per la saggezza e l’equilibrio con cui ha guidato un passaggio difficilissimo della nostra storia repubblicana.

Ecco, da quei giorni è trascorso solo un anno. In soli dodici mesi le novità che sono state introdotte nella nostra vita pubblica sono cariche di un positivo valore di discontinuità rispetto a una vecchia politica di cui gli italiani erano e rimangono disgustati.

Eppure dodici mesi non sono stati sufficienti per realizzare tutte quelle riforme profonde di cui la nazione ha bisogno. La mancanza di un sostegno convinto di una parte del Parlamento è stato un fattore decisivo. Dopo una prima fase in cui il senso di responsabilità delle forze politiche è sembrato prevalere, sono iniziati i veti e le contrapposizioni.

Oggi questo processo di regressione è giunto al punto in cui sempre più spesso i partiti politici, non tutti per fortuna, accusano il Governo di essere responsabile dei decennali problemi del paese.

Siamo abituati da anni a sentirli parlare come se fossero arrivati da un altro pianeta. Ma a tutto c’è un limite!

Intendiamoci, questo non vuol dire approvare acriticamente tutto quel che il Governo ha fatto e soprattutto ignorare quello che non è riuscito a fare.

Su tutto però deve fare premio l’idea che la partita italiana dei prossimi anni non si gioca tanto nel cortile di casa ma, in primo luogo, nelle sedi istituzionali europee. Ed è una partita che Mario Monti ha visibilmente dimostrato di saper giocare meglio di altri.

Monti può fare questo lavoro di ricostruzione, in Italia e in Europa, meglio di chiunque altro.

Ammetterlo non è un segno di debolezza ma un’assunzione di responsabilità. Vale per me, che pure ho avuto qualche esperienza di successo nella vita, dovrebbe tanto più valere per chi è in politica da decenni con i risultati che ogni giorno vediamo.

Non chiediamo al Presidente del Consiglio di prendere oggi la leadership di questo movimento politico. Ciò pregiudicherebbe il suo lavoro, e davvero non ce lo possiamo permettere.

Quello che ci proponiamo di fare è dare fondamento democratico ed elettorale al percorso iniziato dal suo Governo perché possa proseguire, rafforzato, nella prossima legislatura.

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La leadership di questo movimento è rappresentata da tutti noi. Da coloro che ne fanno parte oggi e da coloro che arriveranno domani. Da una classe dirigente ampia, credibile e proveniente da esperienze diverse.

Questa dimensione di “squadra” è l’unica che ho praticato nella mia vita professionale e che riconosco come vincente.

Anche per questo non ho preteso alcun ruolo per impegnarmi in questo progetto. Se avessimo incominciato a dividerci su chi deve essere il leader, invece di costruire contenuti, programmi e classe dirigente, che discontinuità avremmo marcato nei confronti dei vecchi partiti?

Italia Futura ha lavorato, in questi tre anni, partendo da questo presupposto: avvicinare tanti cittadini, ieri alla discussione pubblica, e da domani alla politica attiva; produrre idee e proposte per cambiare il paese; far sentire la voce della società civile, quando la politica era più arrogante e intollerante.

Abbiamo costruito una rete sul territorio con un lavoro difficile e laborioso di moltissime persone che da ogni angolo di Italia sono venute qui oggi, e che voglio di nuovo ringraziare.

Dopo aver avanzato proposte, molte delle quali presentate in Parlamento, abbiamo da qualche giorno offerto alla discussione pubblica, un quadro coerente di idee per la Terza Repubblica.

La nostra rete territoriale e la squadra delle competenze tecniche che abbiamo costruito in questi anni le mettiamo a disposizione di questo progetto per il paese, senza rivendicare alcuna egemonia.

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È davvero importante per noi aver trovato dei compagni di strada, che, con coraggio, si vogliono esporre per dare vita ad un grande movimento civico e popolare. Altri dovranno venire. Le porte di questo movimento sono non aperte, ma spalancate per chi condivide il percorso e la meta.

Siamo orgogliosi che in questa iniziativa convivano culture e storie diverse. Il mondo dell’associazionismo, del lavoro, dell’impresa e delle professioni. La cultura cattolica popolare e quella laica e riformista. Questi sono i mondi che hanno fatto grande l’Italia quando hanno saputo trovare un percorso comune.

Oggi si rinsalda un’alleanza che può aspirare a rappresentare l’Italia vera e profonda. Un’Italia che è maggioranza nel paese e che deve diventare l’architrave della politica italiana.

Siamo nati per superare i luoghi comuni di questo ventennio. L’idea dell’“uomo solo al comando”. La concezione quasi esclusivamente muscolare della politica. La convinzione che merito e politica siano concetti incompatibili. Idee da rigettare senza esitazioni.

Siamo nati per rompere gli steccati. Quelli vecchi e ideologici che hanno diviso il paese per cinquant’anni, quelli tra chi lavora e chi produce, oggi più che mai legati a filo doppio, quelli tra il nord e il sud di un paese che perderà o vincerà solo unito, quelli generazionali e di genere.

Questo vale anche per la politica. Dobbiamo recuperare e valorizzare chi nella politica, e sono tanti soprattutto sul territorio, ha ben operato.

Lo ripeto, le porte di questo movimento sono aperte per tutte quelle persone, associazioni, liste civiche, movimenti politici che condividono i nostri valori, le nostre idee e soprattutto comprendono la difficoltà della sfida che ci attende.

Con queste forze sane e responsabili della politica noi dobbiamo costruire un percorso di avvicinamento che salvaguardi però il nostro DNA: il rinnovamento nelle idee e nelle persone.

Rispettiamo i percorsi di cambiamento in atto all’interno dei partiti. E se saranno, come spero, percorsi reali, dovremo lavorare insieme.

Ricostruire il paese non è un compito che si può affrontare in splendida solitudine. Tutti dovrebbero esserne consci. Ma bisogna davvero mettersi in gioco, così come stiamo facendo noi che veniamo da altri mondi e professioni.

Questo è un invito e una sfida.

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Non chiediamo pubbliche gogne o altre pratiche che detestiamo ma, lo dico con chiarezza, non potremmo neanche accettare gattopardismi.

La Terza Repubblica non può nascere all’insegna del tutto cambi perché nulla cambi.

Abbiamo un’idea precisa dell’Italia che vogliamo. Per questa idea siamo pronti a impegnarci senza riserve. Sapendo che il nostro lavoro è difficilissimo eppure indispensabile.

Le elezioni del 2013 saranno l’appuntamento più importante per questo paese da quelle del 1948. Nessuno potrà chiamarsi fuori.

Voltare pagina si può. Nessuna maledizione ci condanna se non saremo noi stessi a volerlo. Mettiamoci al lavoro.

Luca di Montezemolo

Presidente di Italia Futura

 

Se Montezemolo riesce a fare piu (e meglio!) di De Amicisultima modifica: 2012-11-21T12:47:24+01:00da dematteiscosimo
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