Intervista a Monsignor Rino Fisichella (di PIERO SCHIAVAZZI, “Huffington Post”, 18 maggio 2013)

FISICHELLA FB.jpegTRATTA DAL SITO: “L’HUFFINGTON POST”

http://www.huffingtonpost.it/2013/05/18/intervista-a-monsignor-rino-fisichella_n_3297510.html


E’ stato il vescovo italiano a essere ascoltato per primo e più a lungo da Jorge Bergoglio. Dieci anni fa sul Rio de la Plata, di fronte a una platea di mille persone e ai media locali al gran completo.

 

Il Ministero degli Esteri e il Sottosegretario con delega per gli Istituti Italiani di Cultura, Mario Baccini, avevano promosso in quaranta città del mondo una serie di conferenze sul pontificato di Karol Wojtyla, in occasione del giubileo d’argento, coinvolgendo alti prelati, giornalisti vaticanisti e personalità dello spettacolo.

 

A Mons. Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, toccò Buenos Aires. La manifestazione era ospitata dall’Università Cattolica Argentina e il cardinale Bergoglio faceva gli onori di casa. Entrambi nei loro interventi mostrarono la capacità di atterrare sui temi concreti, pur volando alto.

 

Come intermezzo, nella veste di moderatore, chiesi a Valeria Mazza di leggere un brano della Lettera di Giovanni Paolo II alle donne, che la modella indossò con elegante naturalezza e personalizzò con una vivace testimonianza.

Nei giorni scorsi il confronto tra Francesco e Fisichella è ripreso a quattr’occhi: un’ora faccia a faccia per riferire sull’Anno della Fede, che con la primavera è entrato nel vivo degli eventi di massa, di cui il teologo italiano, in quanto Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, risulta regista e organizzatore.
In meno di un mese ha convogliato a San Pietro mezzo milione di persone, dai cresimati alle confraternite, per concludere con l’adunata dei movimenti, protagonisti stasera della veglia di Pentecoste, appuntamento clou dell’anno speciale voluto da Ratzinger.

 

Il suo dicastero, di nuova istituzione, appare il più leggero ma anche il più sicuro in previsione dei tagli e accorpamenti che investiranno la Curia.

 

Intellettuale profondo ma brillante, fa emergere sovente un linguaggio di “superficie”, che parla per immagini e piace ai giovani. Se Francesco ammonisce che “Dio non è uno spray che sta un po’dappertutto, ma non si sa cosa sia”, Fisichella propone un’altrettanto persuasiva metafora, nell’era degli smartphone, ricordando ai ragazzi che “senza Dio non c’è campo”.
A dimostrazione del proprio “umanesimo tecnologico”, che a suo avviso costituisce la via obbligata per il futuro della Chiesa, dalla scrivania di via della Conciliazione sono scomparsi da tempo i quotidiani, sostituiti dal tablet.
Non ci potrebbero essere accoglienza e viatico migliori per una intervista a un giornale online.

 

Partiamo dal ricordo della sua conferenza con Bergoglio a Buenos Aires. Non mi dica che la sera dell’elezione, quando è apparso vestito di bianco sulla loggia della Basilica, non ha pensato all’incontro di dieci anni fa…

 

Sono tornato immediatamente a quell’evento. Avevo percepito il cardinale Bergoglio come persona schiva, ma estremamente attenta. La prima impressione si è ribaltata all’istante, mentre si affacciava rivolgendosi alla folla. Penso che nel privato invece mantenga una dimensione di riservatezza. Quanto alla capacità di ascolto e dialogo, sono reduce da un’ora di udienza con lui e confermo il giudizio di allora. Rammento i suoi sguardi e le citazioni di Romano Guardini, che è uno dei miei autori di riferimento e costituì l’elemento di aggancio tra noi.

 

Rispetto ai colloqui con Ratzinger, che ha istituito il dicastero della Nuova Evangelizzazione e ha voluto Lei alla guida, quale differenza riscontra?

 

Benedetto XVI era profondamente convinto a livello teorico della necessità della nuova evangelizzazione, ma sul piano esperienziale chiedeva verifiche e conferme.
Francesco si trova naturalmente immerso in questa realtà, che vive con slancio e passione. Gli viene spontaneo di evangelizzare: pensiamo a quando alza gli occhi dal testo scritto e parla con il cuore. Il mondo contemporaneo ha bisogno di maestri e di testimoni. Ma se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni.

 

Nel suo ultimo discorso Benedetto si è congedato con una frase di Romano Guardini: “La Chiesa è una realtà in divenire, che si trasforma”. Francesco dal canto suo, nella prima omelia del pontificato, ha detto che “la vita è un cammino e quando ci fermiamo qualcosa non va”. Se così è, il Suo appare il dicastero più dinamico ma anche il più stabile, in una fase in cui nessuno si sente sicuro del proprio posto…

 

Si corre sempre il rischio di attaccarsi al carro del momento. In tempi non sospetti, al Sinodo dei Vescovi di ottobre, dissi che in Occidente abbiamo dato l’impressione di una Chiesa burocratizzata, invece di una comunità che accoglie e va verso gli altri. Tutti sanno che c’è una esigenza di riforma. La curia è al servizio del Papa e lo deve aiutare a raggiungere tutti, specie coloro che hanno perso la cognizione della propria identità e dei fondamenti stessi della fede.

 

Se l’identità resta quella di sempre e non si scioglie come uno spray, per usare un’espressione del Papa, in cosa consiste il nuovo?

 

Nell’impatto personale e nel linguaggio. Bergoglio viene percepito come una persona che parla al cuore. Non dimentichiamo che l’evangelizzazione alle origini fu l’incontro con una persona. Francesco dà l’idea di come doveva essere Gesù in mezzo alla gente. Domenica 28 aprile, al termine della cerimonia delle cresime, è andato a salutare uno per uno centinaia di sacerdoti commentando: “Noi siamo quelli che parlano, loro quelli che lavorano”. Non possiamo pensare che i nuovi mezzi di comunicazione sostituiscano questa capacità di rivolgersi alle persone guardandole negli occhi.

 

Avete celebrato le cresime, sacramento della fede adulta. La Chiesa però ha diffidenza, forse perfino paura dei cattolici adulti…

 

La definizione di “fede adulta” non mi ha mai convinto. Il Signore non ci ha detto che dobbiamo diventare adulti, ma semmai che bisogna tornare bambini per entrare nel Regno dei Cieli. Quello di ritenersi maturi nella fede è un rischio da non correre.

 

Alcuni anni fa Enrico Letta, durante la presentazione del Suo libro “Identità dissolta”, Le rivolse un appello ad avere fiducia nei cristiani che militano a sinistra. Altrimenti, disse, finiamo come la Spagna dove al bipolarismo politico si accompagna quello religioso, che vede i cattolici prevalentemente schierati da una parte, con riflessi nefasti sulla evangelizzazione. Davvero voi vescovi siete affetti dalla sindrome spagnola?

 

Non mi sottraggo alla provocazione. Dobbiamo distinguere il fatto soggettivo di essere cattolici da quello oggettivo della presenza come cattolici in politica. Quest’ultima comporta la necessità di rappresentare le istanze fondamentali della dottrina sociale. Dal riconoscimento del primato della persona, in tutti i suoi aspetti, ai principi di sussidiarietà e solidarietà. Ora, ci sono partiti che si ispirano alla dottrina sociale della Chiesa e partiti che invece hanno una matrice culturale diversa. Non è questione di fiducia nelle singole persone. Si tratta di verificare se l’azione di un partito è in grado di corrispondere a questa esigenza oggettiva sul piano dei contenuti.

 

Il governo è guidato da due cattolici, uno di sinistra e uno di destra senza nostalgia del centro. I vescovi invece sembrano averla, questa nostalgia…

 

Si vive il centro come un complesso da cui liberarsi. E’ ovvio che qualcuno possa averne nostalgia: è la storia di questo paese. Io mi auguro che i cattolici siano i primi a percepire le nuove esigenze e a porre in essere le strutture capaci di corrispondervi.
Non si può vivere senza le mediazioni dei partiti. La nuova evangelizzazione entra anche nell’ambito della politica, in quanto spazio peculiare destinato ai cristiani per incidere nella vita del loro paese secondo la propria identità e la propria storia.

 

In un dibattito con Pier Luigi Bersani da me moderato, Lei mi stupì manifestando rimpianto per Togliatti, che sapeva cogliere lo spirito profondo del cattolicesimo e forse avrebbe già risolto la questione dei temi eticamente sensibili, come fece con il concordato. Vi trovate meglio a dialogare con i laici?

 

La preferenza non è sulle persone, ma sul cammino comune per il progresso di una società. Se cioè stiamo procedendo verso obiettivi condivisi o invece regrediamo. Il realismo ci impone di constatare che andiamo verso una generazione insensibile alla responsabilità sociale. In passato avevamo forze avverse, ma estremamente inserite nel tessuto popolare. E’ venuta a mancare questa presenza profonda, indispensabile per il dialogo e la trasmissione di valori comuni. Se chiedete a molti studenti il motivo della ricorrenza del 2 giugno, vi risponderanno a stento.

 

Oggi è il giorno dei Movimenti, che crescono di peso ma sfuggono alla presa dell’episcopato, proprio perché “in movimento”. Si sente l’auriga di un carro trainato da cavalli che scalpitano?

 

Scalpitando dimostrano che c’è ancora molta fede e quanto il Concilio sia fecondo a 50 anni di distanza. La mia generazione li ha visti sorgere e ricorda la radicalizzazione, i contrasti delle origini. Oggi non è più così. I pastori devono avere pazienza e comprendere che il loro inserimento stimola le parrocchie, spesso chiuse in se stesse, a raggiungere coloro che stanno fuori.

 

Anche il linguaggio della Chiesa rischia di rimanere fuori dal mondo. E’ vero che la cassiera di un supermercato di New York non Le ha voluto augurare Buon Natale?

 

Avrebbe voluto, ma non ha potuto. Le era stato espressamente proibito, con una vera e propria forma di controllo del linguaggio. Vede, il linguaggio non è solo veicolo di comunicazione. Crea i comportamenti, le convinzioni. Ultimamente nell’Aula Paolo VI avevo davanti a me 8.000 ragazzi e ho usato il loro linguaggio, chiedendo a tutti di mostrare i cellulari. “Ricordatevi”, ho detto, “che senza Gesù non c’è campo”. Lo hanno capito subito tutti.

 

Senza i comportamenti non c’è campo e credibilità. “In trasferta” nello studio di Michele Santoro, Lei invitò pubblicamente alcune vittime di pedofilia ad appellarsi a Roma contro il proprio vescovo, un cardinale, se non avessero ricevuto giustizia. Rammenta l’episodio? Le procurò molte critiche. Quanto è forte ancora nella Chiesa la cultura del silenzio?

 

Rammento bene, ma soprattutto ricordo che quelle persone hanno avuto giustizia. Non si può parlare di misericordia e di perdono, se prima non si parte dalla giustizia. Continuo a ragionare in questi termini. La Chiesa non può e non deve tenere nulla di nascosto, perché la limpidezza è parte integrante del suo messaggio. L’opera di purificazione sta dando i suoi risultati. Abbiamo dei criteri per capire come vanno le cose. Negli Stati Uniti, dove tutto è cominciato, le vocazioni sono aumentate. L’esigenza di chiarezza e di limpidezza nella Chiesa porta i suoi frutti. E sono frutti visibili.

L’HuffingtonPost  |  Di Pubblicato: 18/05/2013 12:58 CEST

 

 

Intervista a Monsignor Rino Fisichella (di PIERO SCHIAVAZZI, “Huffington Post”, 18 maggio 2013)ultima modifica: 2013-05-20T15:58:00+02:00da dematteiscosimo
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