Ed invece il Lecce non solo può fare la serie c –come ha fatto per tanti anni, anzi: decenni. Ed ha fatto pure tanti anni di serie d. E non stuzzicatemi sennò vi dico quanti anni di quarta serie ha fatto con esattezza- ma d e v e fare la Serie C. E pure con la penalizzazione.
Del resto questa sentenza (che, felice coincidenza, giunge dopo la meritata retrocessione) mette fine ad una anomalia del calcio italiano. Una delle tante, sia chiaro. Un impazzimento generale che perdura, imperterrito, da oltre venti anni, e che ha trasformato e rovinato la nostra sana passione per il pallone trasformandolo in un oggetto di marketing. Maledetti soldi.
Sto andando abbastanza a ruota libera – né mi preoccupo tanto di ciò- ma dico quello che ho sempre detto chiacchierando con gli amici. E dico pure che ho sempre visto come simbolico inizio di questo “calcio moderno” la capotica operazione di “calcio-mercato”(termine bruttissimo, che richiama lo sporco denaro. E la schiavitù finanche) che fece il presidente del Milan quando, testardamente appunto, quasi a voler dimostrare il potere dei soldi (suo e della sua squadra) si ostino a prendere dal Torino un modesto giocatore (si chiamava Lentini, lo dico per i più giovani) che non serviva proprio al Milan –la rosa era già ampia, forte e competitiva- eppure Berlusconi volle prenderlo ugualmente. Il costo? Settanta miliardi. Credo che fece una decina di partite o poco più. Poi scomparve, come tante altre meteore.
Perché mi soffermo su Lentini e cosa c’entra col Lecce in serie c, mi chiederete. A parte che scrivo quel che voglio, ma a voler dare una spiegazione vi dico che fu allora – in quegli anni- che iniziò la rovina: rose ampie (in nome del “turn-over”: che sciocchezza) e colme di bidoni costosi (molti provenienti dall’estero), pay tv ( i vecchietti come me ricorderanno che fu allora che nacque Tele +, genitrice naturale della attuale sistema di televisioni a pagamento), diritti televisivi esorbitanti, prezzi dei biglietti inaccessibili, partite anticipate, posticipate e messe in orari incredibili (siam giunti alla bizzarria delle partite a mezzogiorno della Domenica!), serie A che dalle 16 squadre, formato ideale, passa prima a 18 e poi a 20, per aumentare il numero delle partite (e quindi diritti televisivi ergo: denaro,.mammona) e rendendo così il campionato lungo e snervante che inizia ad agosto (invece che a metà o fine settembre come è giusto che sia) e che quindi rende i dodici mesi pallonari un circo impazzito senza soluzione di continuità che dallo scudetto si ritrova immersa nel “calciomercato” e poi le presentazioni alle tv e poi i tornei in estremo oriente a fine luglio (non certo per beneficenza) e poi le amichevoli “di lusso” e poi il campionato e poi la champion anzi no, i preliminari di champions, europa league ed intertoto.
Basta, torno al Lecce. Allora, in questo calcio malato (e precisamente nevrotico. E ditemi pure se la diagnosi è secondo voi errata) son sorte qua e la delle “sacche” create da società che in un sistema così folle (comandato dalle tv, dagli sponsor e in definitiva dal dio denaro) son crollate, fallite. Io ricordo, ad esempio, la coraggiosa scelta del Piacenza che trovandosi in Serie A (una parvenu, come diremo fra poco) rinunciò ai calciatori stranieri. Era il “disperato” tentativo di opporsi a quel sistema che ha portato al paradosso di una squadra che vince il campionato italiano senza un calciatore italiano in campo. Il Lecce in tale circo ci è giunto, il giusto va pure detto, abbastanza meritatamente grazie ad un presidente (Jurlano) ed un Direttore Sportivo (Cataldo) che riuscirono a portare una squadra che fino ad allora aveva fatto i suoi campionati di serie c e di serie b (con cadute in quarta serie) senza mai pensare di poter aspirare alla massima serie. Ma ci riuscirono. Ci riuscirono sul campo, questo è giusto sottolinearlo. Naturalmente fu una meteora: dodici mesi dopo era già tornata in quella Serie B (che secondo me è persino troppo per una comune come Lecce) da cui era incredibilmente salita in Serie A. E poi cosa è successo? E’ successo che il circo cominciò l’impazzimento di cui ho già detto (Lentini, settanta miliardi, turnover, sponsor, pay tv eccetera) ed in tale contesto le varie Società che han saputo giostrarsi in tale mondo sostanzialmente guidato dal marketing e dai soldi son andate avanti. Fra queste il Lecce. Ed altre anomalie: Siena, Piacenza, Empoli, Chiedo, Treviso in Serie A! Da non crederci. E, parallelamente, in serie b paeselli sconosciuti ai più e noti solo agli appassionati di geografia: Albino Bergamasco, Castel di Sangro, Portogruaro, Leffe, Fermo, Castellamare ed altri minuscoli centri senza nessuna tradizione calcistica.
Ecco. Mò mi sono stancato di scrivere epperò debbo concludere coll’argomento da cui son partito. Quel colombiano (o di dove è lui) che sostiene “il Lecce non può fare la Serie C” deve capire che invece la può fare –ed anzi: la deve fare- e se a lui non va bene prenda la nave e se ne torni laggiù e trovi una squadra di Serie A boliviana che se lo carichi, se è così forte. Noi vivremo lo stesso anche senza di lui. E senza il Lecce o il Portosummaga in serie b.
cosimo de matteis