Padre Maurizio Balducci

dormitorio_femminile_uganda.jpgE’ nata come un’idea folle ma alla fine…

Negli anni bui dell’Uganda alcuni dei nostri missionari di tanto in tanto, per non scoppiare, andavano a passare qualche giorno a Mombasa – in Kenya – sulla costa dell’Oceano Indiano. In questi ultimi anni grazie a Dio le tensioni si sono ridotte e non ce n’è stato più bisogno. Però…
Quando la notizia del mio trasferimento in Italia è diventato sicura abbiamo iniziato a parlarne in comunità, quasi per gioco, che magari, dopo tanti anni passati in Uganda, ci sarei anche potuto andare.

Non so quanto i miei amici fossero seri visto che per me si trattava di poco più di una…burla, invece… piano piano, anche per il fatto che un altro compagno messicano avrebbe lasciato l’Uganda assieme a me, ci siamo fatti forza. Restava naturalmente la questione economica che però con alcune ricerche si è appianata grazie a delle occasioni che ci permettevano di andare senza troppa spesa.
Da parte mia si trattava anche di una occasione d’oro nella gestione del mio lavoro al Centro Catechistico, nel senso che dopo aver condiviso col mio successore – p.Cosimo – il primo trimestre e avendo programmato le attività (pesanti) per le vacanze sarebbe stato utile lasciarlo solo per poi tornare e fare assieme una valutazione prima di lasciare definitivamente tutto nella sue mani.
E così ho passato 8 giorni a Namugongo, il luogo dei martiri, per gli esercizi spirituali (che ci volevano proprio) e poi assieme a Josè Casillas siam partiti per l’avventura. Abbiamo viaggiato in aereo che certamente costa più del pullman ma che abbiamo trovato a un prezzo molto conveniente. Così un viaggio di due giorni si è ridotto a meno di due ore e con poca spesa…
Siam così giunti in vista delle palme di Mombasa! Se l’aeroporto di Kampala l’abbiamo raggiunto coi taxi collettivi a Mombasa non c’è stata altra scelta di prendere un taxi privato che con circa soli 10 € ci ha portati a Likoni. E dire che si trattava di passare dalla terraferma all’Isola su cui Mombasa è situata, attraversarne il centro, per prendere infine il Ferry chi avrebbe portato di nuovo sulla terraferma. Lì, a Likoni appunto, avevamo trovato alloggio alla casa di accoglienza dei Missionari della Consolata.
Ormai potevamo considerarci veterani dell’Africa e tante cose ci sono subito parse abbastanza normali ai nostri occhi; altre un po’ meno, quali le ampie strade (comunque dissestate e disastrate a puntino come si conviene) e naturalmente tutto ciò che è legato alla vicinanza all’oceano che in Uganda non c’è. La casa dei missionari dà proprio sulla spiaggia e così appena arrivati abbiam dato un’occhiata estasiata attorno. Anche se purtroppo davanti alla nostra casa non c’era sabbia ma una spianata di roccia (che non è proprio il massimo per la balneazione) all’orizzonte, a circa un chilometro, si vede bene la schiuma delle onde che s’infrangono sulla barriera corallina, the Reef. Essendo arrivati con la bassa marea lo spettacolo di questa specie di laguna asciutta era un po’… desolante, anche per via della mareggiata che aveva accumulato una gran quantità di alghe. E così proprio un mare non pareva. Poi per la prima volta fui testimone della rapida salita della marea oceanica di cui tante volte avevo sentito parlare. L’acqua la si vede salire letteralmente a vista d’occhio e si espande appunto per quasi un chilometro. Ci dovemmo abituare anche al ruggito costante delle onde che si infrangono in lontananza, un fragore che all’inizio avevo confuso con quello degli aeroplani. Che rumore impressionante specialmente di notte!
Ma… una settimana vola in fretta e nel pomeriggio non volli perdermi l’occasione di un bagno che non fu proprio il massimo per via delle alghe che mi avviluppavano da ogni dove e del fondo roccioso. Non potendo nuotare
più di tanto per via delle onde mi trovai i piedi tutti sbertucciati dagli urti. Nell’oceano gli scogli son proibitivi. Sperammo che il giorno seguente sarebbe stato diverso. E così fu.
Naturalmente dovevamo ancora conoscere il luogo e così ci fu detto che un po’ a nord un po’ di sabbia l’avremmo trovata. Il problema fu soltanto…arrivarci, perché al mattino la marea era massima e facemmo fatica ad attraversare le rocce che trovammo sul nostro cammino. Però ne valse la pena, eccome… La sabbia era candida, le onde della laguna non troppo violente e l’acqua di un cristallo limpidissimo. In più l’acqua era già calda, nonostante i ragazzi del posto si lamentassero del contrario: VIZIATI!!!
Assieme a Josè ci divertimmo come bambini e rimanemmo in acqua almeno un paio d’ore. Ci eravamo anche spalmati di una crema solare scaduta da solo pochi anni ma che sembrò funzionare lo stesso; nonostante questo anche Josè che ha già la pelle scura si fece gambero. Urgeva attenzione e moderazione così che al pomeriggio ci accontentammo di una passeggiata sulla spiaggia immensa. Siccome però la carne (la pelle?) è debole il secondo giorno ci riprovammo e ci prendemmo pure una solenne scottata. Il sole all’equatore, al contrario di noi, non scherza!
Anche quella passeggiata pomeridiana fu interessantissima. La spiaggia dalla parte sud era immensa e terminava con uno sperone roccioso. Sulla sabbia incontrammo una grande quantità di bianchi granchi formato super che scappavano alla nostra vista ma che non sarebbe stato difficile catturare tanto eran grossi. Sulla spiaggia c’erano ancora i residui delle alghe portate dalla mareggiata, un vero è proprio muro contro cui le onde si infrangevano. Ed essendo già in decomposizione non vi dico il soave odore…
La spiaggia era anche una vera miniera di materiali diversi, da spazzatura di ogni tipo (proponemmo di aprire un negozio di scarpe) a conchiglie bellissime anche se per la maggior parte scheggiate. Questo anche perché per ogni dove, e a perdita d’occhio fino alla barriera, una vera e propria folla di persone armate di secchi e bidoni raccoglievano le migliori per poi rivenderle. Di tanto in tanto si trovava anche qualche rametto di corallo bianco.
Avventurandoci sulla roccia lasciata libera dalla marea vedemmo cose splendide: dai granchi multicolori, alle stelle di mare sottilissime che correvano veloci dandosela letteralmente a gambe, e perfino delle Cypree col manto completamente estroflesso. Uno spettacolo da sogno! Facemmo pure conoscenza dei rischi di un mare così esuberante e vigoroso. Josè raccolse delle piccole conchiglie ancora abitate che evidentemente in Messico non ci sono. Dopo un po’ nel silenzio udimmo come uno schiocco e ci rendemmo conto che dal piede bianco del mollusco sporgeva come uno stilo una lama triangolare arancione, un vero e proprio pugnale minaccioso che il mollusco letteralmente scagliava all’esterno per poi continuare roteare minaccioso a più di 1 cm fuori dalla conchiglia. Quando si rese conto del pericolo – chissà che il nostro simpatico amico non fosse anche provvisto di veleno… – decise che fosse meglio lasciarlo in pace.
Le nostre giornate trascorsero tutte pressappoco alla stessa maniera sennonché decidemmo di nuotare al mattino presto per evitare di cuocerci ulteriormente. Per fortuna (?), essendo quella la stagione delle piogge, gli ultimi due giorni ci facemmo bagno e doccia allo stesso tempo; tanto l’acqua era comunque calda e l’unico problema era all’uscita.
Un giorno particolarmente uggioso decidemmo di andare a piedi fino al ferry e di scoprire Mombasa. Ci facemmo una bella camminata al fresco (eccessivo visto che cadeva una pioggerellina fastidiosa) e arrivammo al mercato situato all’imbarco del ferry. La zona già caotica e sporca in situazioni normali lo era ancora di più per via della pioggia. Una campionario umano notevole vendeva abiti, scarpe e montagne di pesce fritto e altre cose cotte (tutto molto invitante e… pericoloso). Ci trovammo avviluppati dalla folla che attendeva l’imbarco che è gratuito per i pedoni. Così una volta che gli automezzi furono imbarcati, un muro umano si mosse verso la nave fino a riempire ogni possibile buco. La traversata del canale che immette al porto è davvero un soffio e si ritarda solamente per le operazioni di attracco e di sbarco. Come gli esploratori di secoli prima, avevamo messo piede a Mombasa!
La prima cosa che mi colpì, a parte il fango in cui camminavamo e al casino dei mezzi pubblici che ci fecero sentire a casa in Uganda, furono dei maestosi Baobab in fioritura e con frutti. Mi ripromisi, sulla via del ritorno, di raccogliere un frutto maturo per conservarne i semi. E poi, ad un distaccamento di polizia, un cavallo ed un cammello, entrambi sconosciuti in Uganda. Mi sentivo in un altro mondo… Attorno a noi ovunque, maestosi cocchi con tanti venditori che lì ne offrivano i frutti, già aperti con un colpo di machete, ai passanti. Nonostante le ristrettezze economiche decidemmo di concederci un cocco ciascuno e ci fermammo incuriositi a guardare un grosso
cilindro biancastro messo in bella mostra che ci dissero essere cuore di palma. Ce ne tagliarono un pezzetto e dopo averlo pulito alla bell’e meglio alla T-shirt lo sgranocchiammo. Una squisitezza, altro che il cocco! Di tanto in tanto un grosso baobab ci riparava dalla pioggia.
Ci godemmo pure lo spettacolo delle alte onde che approfittavano del varco nella barriera per penetrare e infrangersi maestose sulla spiaggia. Uno spettacolo affascinante che ci ricordò della presenza di Dio anche a Mombasa!!
Al ritorno la folla al ferry era traboccante e rischiavamo di fare tardi per pranzo. Così, una volta giunti a Likoni, prendemmo un tuk-tuk per fare prima. Eh già, il tuk-tuk… Esempio dell’intraprendenza italiana e africana unite a dare il meglio di loro. Mombasa è piena di queste Api della Piaggio che al posto del cassone hanno un sedile posteriore dove possono accomodarsi, pigiate, tre persone (ma naturalmente in Africa i miracoli son frequenti). All’inconfondibile suono tuk tuk tuk con manovre spericolate agevolate dall’unica ruota anteriore, arrivano ovunque anche se lentamente. Prima di partire, come sempre, bisogna concordare il prezzo con l’autista e vaiiiiiiiiiii!
Alla sera il fragore lontano della barriera si fa più evidente e al buio si fanno strani incontri. La prima sera feci conoscenza con un’ospite del nostro giardino che riuscii solo ad intravedere e che mi dette un po’ di timore. Nella penombra potevo solo immaginare che si trattasse di una grossa tartaruga ed era invece soltanto un… paguro. Un enorme paguro, pesante, e con un chela smisurata che aveva preso alloggio in una grande conchiglia. Il padre che ci ospitava si mise a ridere vedendo la mia faccia esterrefatta!
Più tardi mi resi conto che attorno a me, nel buio, era tutto una scorrazzare di paguri più piccoli e che avrei fatto bene a procedere con cautela. E’ proprio vero che in Africa tutto cresce a dismisura!
Al mattino pregavamo in parrocchia gustandoci i canti Swahili che sono bellissimi anche se il ritmo così particolare è più o meno sempre lo stesso. Poche persone partecipavano alla Messa ma è pur vero che sulla costa del Kenya i cristiani sono solo una minoranza. Per fortuna i rapporti sono abbastanza sereni, soprattutto grazie all’umiltà, pazienza e pacatezza dei cristiani.
La situazione politica, infatti, è esplosiva ed è popolare un forte movimento estremista e indipendentista. Si vorrebbe creare la repubblica islamica di Mombasa dove vigerebbe la Sharìa. Questo, naturalmente, sarebbe uno sviluppo fatale per i cristiani che non avrebbero più né libertà ne diritti. Frequenti sono gli attentati e anche l’ultima notte della nostra permanenza una bomba esplose in città. La situazione è assai tesa.
Padre Angelo mi diceva che una mossa vincente dei cristiani ha normalizzato la situazione quando tutte le nostre scuole son state offerte al governo. Quest’ultimo non è stato poi in grado di gestirle e molte ci son state restituite e sono ancora oggi le migliori scuole. Però i musulmani han visto che da parte della Chiesa non c’è nessuna mira espansionistica. Mombasa è anche ricordata per un gruppo di giovani cristiani martiri e fa spesso meraviglia che non siano, dopo più di un secolo, stati proclamati santi. Questo pure accade per evitare possibili conflitti coi musulmani che mal digerirebbero che questo eccidio venisse sbandierato al mondo intero. Non vi nego d’aver provato tanta ammirazione per questi nostri amici che vivono la loro fede nel nascondimento e nel servizio, come in tante altre parti del mondo musulmano e Hindu.
E purtroppo, come si diceva, una settimana finisce quasi prima di iniziare e così… fu presto il tempo di ripartire. Nonostante la brevità di questa esperienza penso però che questo breve soggiorno sull’Oceano Indiano resterà vivido in me come tanti altri momenti della mia bella permanenza in Africa.

P. Maurizio alla brace!

 

padre maurizio balducci

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Padre Maurizio Balducciultima modifica: 2012-09-12T01:17:00+02:00da dematteiscosimo
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